

Il toponimo
Potrebbe derivare dalla presenza di " tre mulini " dislocati un tempo nel suo territorio o potrebbe trattarsi di un possibile francesismo, lascito del periodo angioino.
In quest'ultimo caso la voce " Trémoulins " composta dal prefisso " Tré " (oltre, al di là nella toponomastica francese) più il sostantivo " Moulins "(mulini) indicherebbe località abitata "superando ed oltrepassando" gli immediati dintorni dove si ergevano tali costruzioni.
Storia
La più antica testimonianza dell'esistenza del toponimo Borrace è costituita da un atto del notaio reggino Perrone del 1534, in cui si parla di gelsi e vigne posseduti nella contrada Burrachi. Nel 1600 le notizie sono più numerose: Burraci era tutta quella zona che andava da Scavanu a sud, fino al torrente annunziata a nord, e da La Consolazione e Nicoletta a est, fino a La Greca a ovest. Mentre sappiamo bene dove sono il rione Schiavone e la contrada intitolata alla Consolazione, nessuno ricorda più i posti nominati Nicoletta oppure La Greca. Il rione Borrace andava dall'attuale via Domenico Romeo al torrente Annunziata e dalla via Eremo-Condera alla via G. De Nava. Includeva, quindi, il torrente Caserta con le numerose case che fiancheggiavano ed erano denominate, nell'800, Villaggio Caserta; il torrente Candela, che è la valletta pietrosa oggi trasformata nel Parco Caserta; la contrada Tremulini ed anche il torrente Marianazzo con il suo affluente Vallone Petrara.
Fino alla vigilia della sua attuale sistemazione urbanistica, il rione era servito da poche strade: la Salita Borrace, la Via du Maro Gatto, la Strada dei Tre Mulini e la Strada Borrace. Quest'ultima andava trasversalmente, dal villaggio Caserta fino all'Annunziata, mentre la via dei Tre Mulini partiva dal medesimo villaggio per arrivare fino al primo di questi ultimi, che stavano sulla sponda sinistra del torrente, quasi all'altezza del Villaggio Vito.
Che questa parte del contado reggino sia stata sempre abitata, con una precisa destinazione agricola, lo rivelano le numerose tombe del IV-III secolo a.C., ritrovate negli anni Venti, allorquando si costruirono le palazzine degli isolati, soprattutto nel recinto della Caserma del 20º Reggimento di Fanteria. Erano tombe modeste, di tavelloni in terracotta, quasi senza corredo funebre. Altre tombe della medesima epoca furono rinvenute mentre si scavava per realizzare il moderno Palazzo del Consiglio Regionale, ma svanirono silenziosamente.
Va infine detto a proposito del Palazzo Regionale, che occupa la spalla destra del torrente Caserta: una spalla anomale, dal punto vista geomorfologico, perché non è costituita da una struttura arroccata, come lo è la riva opposta, bensì da un'area pianeggiante, che sembra rappresentare il riempimento plurimillenario di un localizzato sprofondamento del sottosuolo calcareo su cui tutta Reggio poggia.
Giovanni Merolillo